Dalle Sezioni Unite no al Cumulo Indennizzo Risarcimento

Brutta tegola sulla testa dei danneggiati dalla pronuncia delle Sezioni Unite che scioglie finalmente il dilemma sulla cumulabilità di indennizzo (polizza infortuni) e risarcimento (r.c.) ma, purtroppo, in senso favorevole agli assicuratori. Con sentenza Cass. Sez. Unite 22 maggio 2018 n. 12.565, infatti, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto:

“il danno da fatto illecito deve essere liquidato sottraendo dall’ ammontare del danno risarcibile l’ importo dell’ indennità assicurativa derivante da assicurazione contro i danni che il danneggiato – assicurato abbia riscosso in conseguenza di quel fatto”.

A tale soluzione la Suprema Corte giunge dopo che un cinquantennio di uniformità giurisprudenziale era stato interrotto da Cass. Civ. 11 giugno 2014 n. 13233, cui era seguito, nel 2015, un ulteriore  inquietante precedente che, pur non affrontando il tema del cumulo fra responsabilità civile e prestazione infortuni, esaminava il problema della coesistenza di polizza infortuni giungendo ad affermare che la somma delle prestazioni non può superare, per il principio indennitario, l’entità del valore del danno (così Cass. Civ. 13 aprile 2015 n. 7349).

Tali arresti, del tutto irriguardosi della sostanziale incommensurabilità fra prestazione indennitaria e risarcitoria, sono ora coronati dalla sanzione delle Sezioni Unite, la quale afferma che deve aversi riguardo, nella valutazione della cumulabilità delle prestazioni, non dei titoli, bensì del bene della vita garantito. Ne consegue che, nel caso della garanzia contro gli infortuni, l’ erogazione della prestazione indennitaria elide il risarcimento in una misura pari all’ entità della prestazione erogata (e viceversa).

Tale interpretazione risulta, a nostro avviso, del tutto incongrua a causa della natura artificiosa dell’ assimilazione della garanzia infortuni a quella danni: “l’assicurazione contro gli infortuni” citiamo il commento in tema P. Santoro “ non è equiparabile a quella contro i danni: il bene assicurato non è una cosa materiale e inanimata, suscettibile di proprietà e soggetta perciò, per se stessa, ad un’obiettiva valutazione economica, ma bensì il corpo umano nella sua interezza e nelle sue singole componenti, … e cioè un bene tutt’ affatto particolare, rispetto al quale, per la considerazione etica che i paesi civili hanno della vita umana, non è configurabile un puro e semplice contratto d’indennità come efficace strumento di riparazione del danno prodottosi.”.

E tuttavia la decisione della Suprema Corte pone ora i danneggiati titolari di una garanzia infortuni (e i loro patrocinatori) nella scomoda posizione di dover scegliere fra l’ accettazione di quella che non può non essere vissuta come un’ ingiustizia e l’ esperimento di un tentativo di superare la riserva in Tribunale in via interpretativa.

Potrebbe soccorrere, a tal fine, la precisazione contenuta in Cass. Civ. 11 giugno 2014, n. 13.233, sopra citata: “la detrazione dal risarcimento dal danno aquiliano dell’ indennizzo assicurativo percepito dalla vittima in virtù di una assicurazione contro gli infortuni” recita la sentenza “esige che il danno patito ed il rischio assicurato coincidano: se l’ assicurazione copre il danno da perdita della capacità di lavoro (danno patrimoniale) e la vittima del fatto illecito abbia subito solo un danno biologico (danno non patrimoniale) nessuna detrazione sarà possibile, a nulla rilevando che l’ assicuratore abbia, per effetto di particolari clausole contrattuali che ammettano l’ indennizzabilità di un danno presunto, pagato ugualmente l’ indennizzo”. Tale inciso (purtroppo non richiamato, ma nemmeno smentito, dalle Sezioni Unite) gioverà in tutti i casi (statisticamente prevalenti) in cui il trattamento contrattuale indennizza la perdita di capacità lavorativa.

Non pare soccorrere, invece, la classica clausola di rinuncia della rivalsa ex art. 1916 c.c.. La Cassazione, infatti, in esito alla ricostruzione sistematica che individua nell’ art. 1916 la “norma di legge” che “farebbe la differenza” nell’ escludere la cumulabilità imponendo il diffalco nel caso di cumulo responsabilità civile – infortuni (a differenza dell’ assicurazione sulla vita), specifica che la decisione dell’ assicuratore di non valersi del diritto di rivalsa è vana. Infatti: “poiché nel sistema dell’ art. 1916 c.c. è con il pagamento dell’ indennità assicurativa che i diritti contro il terzo si trasferiscono, ope legis, all’ assicuratore, deve escludersi un ritrasferimento o un rimbalzo di tali diritti all’ assicurato per il solo fatto che l’ assicuratore si astenga dall’ esercitarli” (pag. 31).

Si tratta, palesemente, di un sofisma, che nasconda una precisa scelta politica, simile a quella relativa al danno tanatologico, scelta peraltro esplicitata dalla stessa sentenza laddove giustifica la scelta con “un contenimento del livello dei premi nei limiti in cui l’ assicuratore sia in grado di recuperare dai terzi responsabili quanto erogato in forza dei propri impegni contrattuali” (pag. 28).

Un inciso che echeggia altre, recenti, decisioni della Suprema Corte e della Corte Costituzionale gravemente lesive dei diritti dei danneggiati ed assicurati, e che tradisce una forma mentis (forse inconsapevolmente) legata a concezioni economiche di liberismo estremo, secondo cui l’ intero sistema economico sociale si deve regolare deprimendo l’ offerta senza curarsi del fatto che, così facendo, si inaridisce la domanda e si crea una spirale deflattiva dei diritti senza fine.

Serve un cambiamento culturale, prima ancora che giuridico.

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Avv. Marco Bordoni del Foro di Bologna

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Una Rassegna in Tema di Accertamento Strumentale

Tribunale di Treviso, sentenza 10 ottobre 2017 

Nel coordinare il comma 3 ter al comma 3 quater deve infatti ritenersi prevalente la norma di cui a tale ultimo comma, che prevede appunto che il danno biologico venga accertato in via strumentale, ovvero, in via alternativa ma parimenti idonea, valida ed efficace, “visivamente”. Alla disposizione del comma 3 ter va riconosciuto il ruolo, pur essenziale, di richiamo degli operatori del diritto ad una rigorosa applicazione dei criteri di accertamento e quantificazione del danno alla salute, al fine di rifuggire da valutazioni puramente soggettive che non trovano riscontri strumentali o clinici. Dall’ esame delle documentazione sanitaria in atti, analizzata dal CTU, emerge la precisa valutazione della dinamica del sinistro e degli esiti della radiografia del rachide cervico dorso lombare, a fronte dei quali il medico ha ritenuto superfluo sottoporre la periziata ad ulteriori esami strumentali, reputando sufficiente la valutazione clinica della contrattura della muscolatura paravertebrale. E indubbio, quindi, che la micro lesione permanente quantificata in sede di CTU sia frutto di un accertamento diagnostico clinico strumentale effettuato con le modalità raccomandate dalla Suprema Consulta quanto di una valutazione medico legale svolta dal CTU che, con argomentazioni immuni da censure, utilizzando la consueta criteriologia medico legale, ha affermato la compatibilità fra i postumi riscontrati nel danneggiato ed il sinistro.

Tribunale di Reggio Emilia, sentenza 22 febbraio 2018 n. 30

D’ altronde, la sufficienza che l’accertamento sia condotto secondo le leges artis della scienza medico-legale è stata altresì confermata da una condivisibile pronuncia della Corte di Cassazione, la quale ha affermato che “In tema di liquidazione del danno alla persona a seguito di sinistro derivante dalla circolazione stradale, l’art. 32, commi 3-ter e 3-quater, del d.l. n. 1 del 2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 27 del 2012, esplica criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina legale, conducenti a una obiettività dell’accertamento riguardante le lesioni e i relativi postumi qualora esistenti. (Nella specie, la S.C. ha annullato la decisione impugnata che aveva escluso la risarcibilità del danno biologico temporaneo nonostante il referto medico avesse diagnosticato contusioni alla spalla, al torace e alla regione cervicale, guaribili in sette giorni, che, pertanto, non potevano essere ritenute, come fatto dal giudice di merito, affezioni asintomatiche di modesta entità non suscettibili di apprezzamento obiettivo clinico)”. (Cass. civ., sez. III, sent. n. 18773 del 26/09/2016).

Tribunale di Parma, sentenza 20 febbraio 2018 n. 256

Nel caso di specie, il CTU nominato, dando atto delle osservazioni del CTP della assicurazione, ha comunque ragionevolmente ricondotto le proprie conclusioni ai criteri ordinanti della scienza medico-legale, affermando che l’ipertensione rilevata del rachide cervicale, seppure non accertabile con un qualche strumento tecnico predefinito, è pur sempre suscettibile di accertamento medico legale. Ne consegue che rimangono intatti i parametri oggettivi cui uniformare il giudizio di sussistenza delle lesioni accertate.

Tribunale di Modena, sentenza 5 marzo 2018 n. 386:

La Corte di Cassazione ha espresso il proprio orientamento anche in epoca recentissima in ordine alla valenza dell’accertamento strumentale in caso di lesioni personali lievi, cd. micro permanenti, cioè di postumi permanenti compresi tra l’1% e il 9%.

L’art. 139 del D.L.gs. 209/2005, (cd. Codice delle Assicurazioni Private), è stato modificato dall’art. 32 comma 3 ter del D.L. 1/2012 convertito con modifiche dalla L. 27/2012 e dall’art. 1, comma 213 D.Lgs. 74/2015 e, infine, dall’art. 1 comma 19 L. 124/2017, che ha disposto che  “In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazioni, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”.

Le modifiche all’art. 139 C.d.A., ed in particolare quelle relative alla necessità dell’accertamento strumentale, sono state ritenute applicabili anche ai giudizi in corso (Cfr. Cass. n. 18773/2016 e Corte Costituzionale sentenza n. 235/2014).  Con la menzionata sentenza, e con riferimento ad un caso analogo a quello per cui si procede, avente ad oggetto l’appello avverso una sentenza di primo grado che non riconosceva la liquidazione del danno biologico per una lesione micro permanente al rachide cervicale da colpo di frusta, in quanto non strumentalmente accertabile, la Suprema Corte ha ribadito che le norme in esame si applicano anche ai giudizi in corso, ed ha precisato che: “..la ratio delle medesime norme va tratta assumendo come punto di riferimento la previsione degli artt. 138 e 139 del d.lgs. n. 209 del 2005 e, in particolare, la previsione del comma 2 dell’art. 139 secondo cui per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale”.

Ciò posto ha ulteriormente specificato, in relazione alle novità introdotte nell’anno 2012, come il legislatore abbia inteso sollecitare una prova rigorosa in merito all’accertamento effettivo dell’esistenza delle patologie lamentate, specie quelle di piccola entità contenute entro la soglia del 9%, in considerazione del fatto che tali procedimenti civili, ai fini statistici, sono tra i più numerosi in assoluto.

Tuttavia sottolineando come “Il rigore che il legislatore ha dimostrato di esigere – che, peraltro, deve caratterizzare ogni tipo di accertamento in tale materia – non può essere inteso, però, come pure alcuni hanno sostenuto, nel senso che la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l’accertamento clinico strumentale; difatti, è sempre e soltanto l’accertamento medico legale svolto in conformità alle leges artis a stabilire se la lesione sussista e quale percentuale sia ad essa ricollegabile.

E l’accertamento medico non può essere imbrigliato con un vincolo probatorio che, ove effettivamente fosse posto per legge, condurrebbe a dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale, posto che il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e che la limitazione della prova della lesione del medesimo deve essere conforme a criteri di ragionevolezza..”

Ciò posto, nel merito della questione attinente a una lesione del rachide cervicale, altrimenti detta colpo di frusta, la Suprema Corte ha precisato che il CTU non può limitarsi ad accertare la predetta lesione sulla base di quanto riferito dal danneggiato in virtù del maggiore o minore dolore percepito, essendo l’esame strumentale, in simili casi, lo strumento dirimente.

Tuttavia, secondo la Cassazione errava il giudice d’appello, limitandosi ad escludere il risarcimento a causa della mancanza dell’accertamento clinico strumentale senza convocare il CTU per chiarimenti o per un eventuale accertamento supplementare, così ponendo a carico del danneggiato un ulteriore onere probatorio che neppure sussisteva nel momento in cui il giudizio fu incardinato e pertanto accoglieva il ricorso e cassava la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale territorialmente competente in persona di un diverso Magistrato.

Nel caso che ci occupa, considerato l’insegnamento di cui alla su menzionata sentenza con riferimento ai criteri di ragionevolezza dalla Corte indicati, tenuto in adeguato conto il rilievo costituzionale del diritto alla salute, e optando per una interpretazione costituzionalmente orientata della norma de qua, che si impone, appare opportuno valorizzare l’esito dell’accertamento medico agli atti che parla con certezza di postumi permanenti ormai ampiamente stabilizzati e connessi causalmente all’infortunio.

Pertanto, avuto riguardo alla bassissima percentuale indicata (0,5-1%), dovrà riconoscersi all’appellante un risarcimento del danno biologico per i predetti postumi, da quantificarsi nella somma stimata equa di euro 500,00.  Tenuti in debito conto i criteri orientativi di riferimento di cui alla Tabella elaborata presso il Tribunale di Milano con riferimento al danno non patrimoniale, dovranno riconoscersi all’Ujkaj le seguenti somme a titolo di risarcimento per:  1) Postumi c.d. micro permanenti, euro 500,00.  2) Invalidità invalidità temporanea al 100% per giorni 1, euro 50,00

3) Invalidità invalidità temporanea al 75% per giorni 7, euro 220,00  4) Invalidità invalidità temporanea al 50% per giorni 10, euro 220,00  5) Invalidità invalidità temporanea al 25% per giorni 10, euro 110,00. Per un totale di euro 1100,00 con interessi e rivalutazione dalla data del sinistro fino alla data della liquidazione.  Dovrà essere inoltre rimborsata la spesa medica di euro 240,00, pure menzionata e ritenuta congrua dal CTU, potendosi considerare tale quella sostenuta per sottoporsi a visita medica volta all’accertamento della patologia riportata nel sinistro ed alla redazione della relativa relazione.  Il danno morale, inteso come pretium doloris, andrà risarcito nella misura equitativa pari ad euro 500,00 essendo innegabile la sussistenza di una sofferenza derivante dal (pur lieve) trauma fisico e psicologico derivato dall’incidente.

Tribunale di Verona, sentenza “gemelle” n. 2532/2016 e 2531/2016 (dott. P. P. Lanni), entrambe del 06.10.2016, 

“non appare condivisibile l’orientamento giurisprudenziale, invocato dall’appellante (e traente origine da Corte Cost. n. 235/14), secondo cui il comma 3 ter del citato art. 32 (modificativo dell’art. 139 cod ass.) riguarda il danno biologico permanente e richiede, ai fini del suo accertamento, una verifica strumentale, mentre il comma 3 quater dello stesso articolo riguarda il danno da invalidità temporanea e consente, a tini del suo accertamento, anche una verifica visiva, oltre che quella strumentale; ed infatti, come chiarito di recente anche dalla giurisprudenza di legittimità, il citato comma 3 quater dell’art. 32, così come il precedente comma 3 ter, sono da leggere in correlazione alla necessità “…predicata dagli arti 138 e 139cod. ass. che il danno biologico sia suscettibile di accertamento medico-legale (ossia il visivo-clinicostrumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una obiettività dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni che i relativi postumi” (V. Cass. n. 18773/16); in altri termini, lo scopo perseguito dalla riforma che ha introdotto le due norme è quello di confermare la necessità che la “valutazione medico-legale, costituente il presupposto per il riconoscimento del danno biologico, risponda ad una evidenza scientifica secondo criteri obiettivi, al fine di evitare truffe o risarcimenti ingiustificati; ma, ai fini dell’affermazione dell’oggettività dell’evidenza scientifica, è sufficiente che essa risulti da un’analisi strumentale, o un accertamento clinico o una visita diretta del danneggiato da parte del medico; in questa prospettiva appare evidente che il richiamo ai criteri visivo, clinico e strumentale non può essere inteso come gerarchico o unitario; esso, infatti, è esclusivamente volto ad indicare i metodi che, da soli o congiuntamente, sono idonei a condurre ad un’obiettività dell’accertamento stesso secondo le leges artis; l'”accertamento clinico strumentale obiettivo” di cui al comma 3 ter non può, dunque, essere diverso dal “riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione” di cui al comma 3 quater; nel caso di specie la CTU disposta in primo grado si è attenuta a tale criterio scientifico, avendo “visivamente” accertato, attraverso la visita diretta della danneggiata, l’esistenza di una lesione (a pag. 3 della relazione medico legale si dà atto che: “rachide cervicale, la rotazione verso dx è ridotta di alcuni gradi, la flessoestensione è limitata, tutti i movimenti appaiono possibili ma cautelati a fine corsa”); non è censurabile quindi la decisione del Giudice di Pace di porre a fondamento delle sue statuizioni la suddetta CTU, con il riconoscimento del danno biologico permanente e temporaneo nei termini indicati dalla relazione peritale”.

il Tribunale di Pisa (dott. M. Viani), con Sentenza n. 158/2017 del 20.02.2017

“non osta al riconoscimento del danno biologico il nuovo testo dell’art. 139 cod. ass. Anche a voler ritenere, con la giurisprudenza costituzionale seguita dalla recente giurisprudenza di legittimità, che tale modifica legislativa si applichi ai giudizi in corso benché l’evento lesivo sia anteriore, si è recentemente precisato: “Invero, il citato comma 3-quater dell’art. 32, così come il precedente comma 3-ter, sono da leggere in correlazione alla necessità (da sempre viva in siffatto specifico ambito risarcitorio), predicata dagli artt. 138 e 139 cod. ass. (che, a tal riguardo, hanno recepito quanto già presente nel “diritto vivente”), che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”, esplicando entrambe le norme (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinicostrumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una “obiettività” dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti)” (Cass., 26.9.2016 n. 18773, che ha ritenuto risarcibile il danno in presenza di contusioni diagnosticate al momento del fatto). Nel caso di specie, si evince dalla relazione peritale che furono riscontrati sulla B. trauma distrattivo del rachide e distorsivo della caviglia, con ipomobilità del rachide, limitazione funzionale della spalla destra alla intra-extrarotazione, cassetto dubbio alla caviglia, e pertanto le lesioni furono suscettibili di accertamento obiettivo”.

Tribunale di Rimini  nella sentenza n. 341/2017 del 23.03.2017

(massima) il Tribunale ha operato un espresso richiamo alla statuizione della Suprema Corte sopra menzionata, di nuovo confermando la sufficienza dell’accertamento medico-legale ai fini della liquidazione del danno biologico micropermanente; secondo tale giudice, la ratio che ispirava l’articolo 139 cod. ass., come modificato nel 2012, era semplicemente quella di evitare che l’esistenza del danno alla salute di modesta entità fosse accertato e valutato solo su “supposizioni, illazioni, suggestioni, ipotesi”, garantendo che il suo riconoscimento si fondasse su criteri di assoluta e rigorosa scientificità. Ciò, però, non avrebbe potuto significare l’esclusione della risarcibilità dei postumi non accertati strumentalmente (Tac/radiografie), ma che, piuttosto, il loro risarcimento era possibile “a condizione che l’esistenza di essi possa affermarsi sulla base di una ineccepibile e scientificamente inappuntabile criteriologia medico legale”.

Tribunale di Padova, sentenza 26 gennaio 2017, n. 242, est. dott. Guido Marzella

Il termine “visivamente” di cui al comma 3 quater art. 32 L. 27/12 può essere inteso come sinonimo di evidenza scientifica, riguardo al quale possono essere ammessi tutti i criteri della semeiotica, essendo tra l’ altro pacifico che il riscontro “strumentale” sia comunque da considerarsi alternativo rispetto a quello “obiettivo”. Una volta interpretata in tal modo l’ espressione “visivamente” diviene quindi agevole concludere che l’ art. 32 terzo quater richiede univocamente che la lesione sia suscettibile di accertamento medico legale, requisito peraltro richiesto anche in passato. E da una lettura coordinata di tale comma con quello precedente discende che anche il comma ter, relativo in via specifica al danno biologico permamente, richieda semplicemente, ai fini del risarcimento, che la lesione sia suscettibile di accertamento medico legale, non essendovi infatti alcuna plausibile ragione per cui un limite alla risarcibilità delle conseguenze della lesione del bene salute debba operare solo per i postumi permanenti e non per l’ invalidità temporanea. Per quanto riguarda la Corte Costituzionale il vincolo che deriva al giudice di merito da una sentenza interpretativa di rigetto è soltanto è soltanto negativo, consistente cioè nell’ imperativo di non applicare la norma secondo l’ interpretazione ritenuta non conforme al parametro costituzionale evocato e scrutinato dalla Corte. Scarica la sentenza: Quanto al danno morale, lo stesso non può in alcun caso ritenersi compreso nel danno biologico  e va liquidato autonomamente in ragione della sua indipendenza ontologica. Scarica la sentenza: Tribuale di Padova

Ferrara sentenza 8 novembre 2017:

Il c.t.u. osserva che le lesioni riportate da M. a seguito del sinistro, sono state sottoposte ad accertamento “clinico-obiettivo” presso struttura nosocomiale pubblica (v. documentazione sanitaria pag. 3 elaborato peritale). La risonanza magnetica rileva che la situazione della cervicale non è integra, e l’esame obiettivo condotto dal medico conferma la lesione (v. pag. 3-4 dell’elaborato peritale).

E quindi ampiamente soddisfatto il criterio di cui all’art. 139 co. 2 codice delle assicurazioni. La norma predetta esige che il danno alla salute di modesta entità sia accertato e valutato dal medico

legale, e quindi dal Giudice, secondo criteri rigorosi, che abbiano un fondamento obiettivo, senza che sia possibile fondare l’affermazione dell’esistenza del danno sulle sole dichiarazioni della vittima, ovvero su mere ipotesi.

Tribunale di Pordenone sentenza 22 aogosto 2017:

Al riguardo giova premettere che il D.L. n. 1 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 27 del 2012 , novellando l’art. 139 del Codice delle Assicurazioni (D.Lgs. n. 209 del 2005 ), ha posto una forte limitazione ai mezzi di prova relativi alle lesioni di lieve entità, disponendo la risarcibilità del danno biologico permanente solo in presenza di un accertamento clinico strumentale obiettivo. Nonostante ciò, ai fini dell’imprescindibile accertamento obiettivo delle lesioni di lieve entità riportate in un

sinistro stradale e degli eventuali postumi, si può impiegare uno tra i diversi criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina legale, ossia i criteri visivo, clinico e strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le

leges artis (cfr. Cass. civ. 18773/2016). Per tale motivo, si incorrerebbe in errore di sussunzione se, non essendovi valide ragioni per ritenere inattendibile un referto medico, si escludesse la risarcibilità del danno biologico temporaneo e/o permanente nonostante che detto referto abbia diagnosticato la presenza di lesioni suscettibili di apprezzamento obiettivo clinico.

Tribunale di Milano sentenza 8 aprile 2016 n. 4461:

“Parimenti da rigettare è l’altro motivo di appello, cui ha replicato l’odierno appellato, che si incentra sulla pretesa contrarietà del riconosciuto danno biologico alle disposizioni di cui all’art. 139 CDA laddove dispone che le lesioni di lieve entità non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente se non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo. Al riguardo devono essere disattese le censure sul punto posto che in atti vi è il riscontro del pronto soccorso in data 17.4.2010 ove anche a seguito di RX fu posta diagnosi di trauma distorsivo rachide cervicale. Ulteriormente il CTU dr. Basile, nell’ambito dell’accertamento medico ha potuto riscontrare una modica contrattura della muscolatura paravertebrale e escursioni articolari ridotte agli estremi gradi delle rotazioni laterali, dovendosi disattendere la deduzione secondo cui “l’accertamento clinico strumentale obiettivo “di cui parla il legislatore sia esclusivamente l’accertamento effettuato con strumenti tecnici, ben potendo esser tale accertamento strumentale eseguito dallo stesso medico, sulla base della visita eseguita

La Cassazione Abbatte il Totem dell’ Accertamento Strumentale

totem-pole-clipart-thunderbird-6Sono passati quasi sei anni dall’ entrata in vigore della L. 24 marzo 2012 n. 27. Sei, lunghi, anni durante i quali siamo stati costretti ad interpretare i due commi della discordia (3 ter e 3 quater) in tanti e tali modi da far sembrar dilettanti i commentatori del Talmud babilonese.

Due commi trovati prodigiosamente “sotto ad un cavolo” la mattina del 21 febbraio 2012 dagli onorevoli Germontani, Casoli, D’ Alia, Sangalli, Izzo (ricordiamo anche i partiti, siamo pur sempre in campagna elettorale e l’ oblio sarebbe ingratitudine: PDL, UDC, PD) e approvati con una levata di scudi dalla decima commissione per far “crescere l’ Italia” nel clima di eccezione che contraddistinse l’ attività del gabinetto Monti.

Due commi disinteressatamente commentati, nell’ immediato, dalle più prestigiose Tribune della medicina legale Nazionale, tribune insospettabili, per caratura scientifica, di qualsiasi partigianeria, pronte ad attestare, ad inchiostro del legislatore ancora fresco: “che qualora il danno alla persona di cui viene richiesto il risarcimento nasce [sic] da una lesione che non sia suscettibile di accertamento clinico strumentale obiettivo, in tal caso  non sarà possibile, indipendentemente dalla sintomatologia riferita, riconoscere un danno biologico permanente“.

Attestato rilasciato sulla base di una logica sfuggente, visto che la lettura testuale della norma, così come frettolosamente assemblata, non era certo univoca, anzi sembrava dare ragione ai pochi che, nell’ immediato, sostennero la tesi esattamente opposta. Purtroppo molti preferirono ripetere pappagallescamente il mantra: il danni non strumentalmente accertati non si pagano più!

Una interpretazione in seguito”benedetta” dalla Corte Costituzionale (ora è lecito dirlo) più reazionaria della storia della Repubblica, che riteneva suo obbligo stracciare le proprie stesse pronunce, rese nel 1986, quando una composizione di ben diversa levatura aveva lanciato un monito (che, letto con il senno del poi, aveva contenuti profetici) sulla illegittimità di qualsiasi limite legislativo al risarcimento del danno alla persona: “Quand’ anche si sostenesse che il riconoscimento, in un determinato ramo dell’ ordinamento, d’ un diritto subiettivo non esclude che siano posti limiti alla tutela risarcitoria (disponendo ad esempio che non la lesione di quel diritto, di per sé, sia risarcibile, ma la medesima purché conseguano danni di un certo genere) va energicamente sottolineato che ciò, in ogni caso, non può accadere per i diritti e gli interessi dalla Costituzione dichiarati fondamentali. Il legislatore, rifiutando la tutela risarcitoria (minima) a seguito della violazione del diritto costituzionalmente dichiarato fondamentale, non lo tutelerebbe affatto, almeno nei casi esclusi dalla predetta tutela. La solenne dichiarazione della Costituzione si ridurrebbe ad una lustra, nelle ipotesi escluse dalla tutela risarcitoria: il legislatore ordinario rimarrebbe arbitro dell’ effettività della predetta dichiarazione costituzionale.“.

Quando poi la tecnica interpretativa iniziò a riguadagnare terreno e, (si era già al settembre 2016), la Corte di Cassazione ebbe a pronunciarsi per la prima volta sul tema, smentendo clamorosamente le tesi dei soloni e premiando invece le posizioni dei “parafanghisti”, per così dire, si parva licet componere magnis, rovesciando i potenti dai troni ed innalzando gli umili, la già citata Tribuna super partes di Medicina legale si prese il disturbo di bacchettare gli Ermellini, o per lo meno i loro più entusiasti interpreti, spiegando che la sentenza in questione non affermava affatto il principio di diritto in essa chiaramente enunciato.

Persino il chiarimento legislativo della scorsa estate e le inequivoche prese di posizioni dei più autorevoli commentatori erano stati “digeriti” con una certa disinvoltura dagli “zeloti dello strumento”.

Per cui immaginiamo la sorpresa, lo sconcerto, che potranno provare tutti costoro di fronte all’ odierna, seconda, pronuncia in commento. Ci riferiamo alla sentenza Cassazione Civile, 19 gennaio 2018, n. 1272 che scrive la parola “fine” a sei anni di bagarre con l’ enunciazione dei seguenti principi che dobbiamo trascrivere integralmente:

“sull’ effettiva interpretazione da attribuire alle disposizioni ora richiamate [L. 27/12 n.d.r.] questa Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi con la recente sentenza 26 settembre 2016, n. 18.773. In tale pronuncia (…) la Corte ha (…) precisato che la ratio delle medesime norme va tratta assumendo come punto di di riferimento la previsione degli artt. 138 e 139 d.Lgs. n. 209 del 2005 e, in particolare, la previsione del comma 2 dell’ art. 139 secondo cui “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente dell’ integrità psico fisica della persona, suscettibile di accertamento medico legale”. Ragione per cui quella sentenza è pervenuta alla conclusione anche anche alla luce della norma sopravvenuta (che richiede un accertamento clinico strumentale obiettivo) i criteri di accertamento del danno biologico non sono gerarchicamente ordinati tra loro ma da utilizzarsi secondo le leges artis” in modo da condurre ad una “obiettività dell’ accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni che i relativi postumi (se esistenti)”.  Alla citata pronuncia l’ odierna sentenza intende dare continuità, con le precisazioni che seguono.

Il rigore che il legislatore ha dimostrato di esigere (che, peraltro, deve caratterizzare ogni tipo di accertamento in tale materia) non può essere inteso, però, come alcuni hanno sostenuto, nel senso che la prova della lesione debba essere fondata esclusivamente con l’ accertamento clinico strumentale; come già ha avvertito la citata sentenza n. 18.773 del 2016, infatti, è sempre e soltanto l’ accertamento medico legale svolto in conformità alle leges artis a stabilire se la lesione sussista e quale percentuale sia ad essa ricollegabile. E l’ accertamento medico non può essere imbrigliato con un vincolo probatorio che, ove effettivamente fosse posto per legge, condurrebbe a dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale, posto che il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e che la limitazione della prova della lesione del medesimo deve essere conforme a criteri di ragionevolezza.”

Quanto alle menomazioni minori (come, esemplificativamente, la distorsione cervicale), la Corte di Cassazione afferma che “il C.T.U. non può limitarsi, a fronte di simile patologia, a dichiararla accertata sulla base del dato puro e semplice (e in sostanza non verificabile) del dolore più o meno accentuato che il danneggiato riferisca”. In tali casi il C.T.U. “con ogni probabilità” ricorrerà all’ accertamento clinico strumentale, fermo restando il ruolo insostituibile della visita medico legale e dell’ esperienza clinica della specialista.“.

In conclusione (principio di diritto): l’ art. 139 comma 2, del codice delle assicurazioni “va interpretato nel senso che l’ accertamento della sussistenza della lesione temporanea o permanente dell’ integrità psico fisica deve avvenire con rigorosi ed oggettivi criteri medico legali; tuttavia l’ accertamento clinico strumentale obiettivo non potrà in ogni caso ritenersi l’ unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori, a meno che non si tratti di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita medico legale, che sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale.”.

Si chiude quindi definitivamente, e nel senso più auspicabile, una vicenda in cui molto poco hanno contato le ragioni del diritto, e molto le ragioni economiche, che si possono sintetizzare con una tabella, che qui si riporta: sono 8 miliardi e 511 milioni gli utili realizzati, in questi anni, dal comparto RC auto italiano (dati ANIA) utili provenienti, in gran parte, dalla mancata liquidazione di danni “non accertati strumentalmente”.

Figura 1 Dati: ANIA , Eurostat. % crescita PIL Italia a fronte di crescita % utili in RC Auto. I dati degli utili sono in percentuale rispetto alla raccolta premi.

 

E’ quindi con una punta di malinconia che chiudiamo questo commento: per quanto ci riguarda, la soddisfazione del tardivo riconoscimento non compensa certo l’ afflizione per le tante prevaricazioni cui in questi anni i nostri assistiti hanno dovuto sottostare.

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Avv. Marco Bordoni del Foro di Bologna

 

Costo Orario di Riparazione, Onorari Stragiudiziali e Giudiziali

Tribunale di Bologna, sentenza 19 ottobre 2017 n. 17.673, est. Dott.ssa Anna Maria Drudi. L’ art. 145 C.d.A. subordina la proponibilità della domanda giudiziale al rispetto degli oneri richiesti dall’ art. 148 C.d.A. In questi oneri non è ricompresa la trasmissione della constatazione amichevole, che ha l’ unica finalità di accorciare i tempi di liquidazione dati all’ assicuratore. In ordine alla riparazione del danno all’ autoveicolo, il parametro che può assumersi al fine di verificare la sua congruità è il tariffario depositato presso la Camera di Commercio dalle Associazioni Artigiane maggiormente rappresentative. Quanto alla spesa per il noleggio di un mezzo sostitutivo per il tempo necessario alla riparazione del veicolo, tale spesa va provata tramite fattura: ove sia soddisfatta tale prova essa deve essere risarcita. Lo stesso dicasi della spesa sostenuta per l’ assistenza stragiudiziale ricevuta dal danneggiato, da riconoscersi in via presuntiva tenuto anche conto che (nel caso di specie) non si versava in una procedura di “risarcimento diretto” e la spesa in questione era modesta (€ 420,00 su una sorte capitale di € 3839,00). Scarica la sentenza: Drudi

Gidice di Pace di Bologna, sentenza 5 ottobre 2017, n. 2.953, est. Avv. Federica Poli Camagni. Ove, in tema di RC auto, successivamente alla notifica di atto di citazione in giudizio, ma prima della prima udienza, la compagnia assicuratrice convenuta provveda all’ invio di un assegno integralmente satisfattivo della sorte capitale, ma non delle spese difensive, le stesse devono essere liquidate dal giudice (il riferimento è a Cass. Civ. Ordinanza 6422/17). Scarica la sentenza: Poli Camagni

Delega CARD: Modalità e Limiti

Giudice di Pace di Bologna, sentenza 16 ottobre 2017, est. Dott. Antonio Pederzoli. Ove il danneggiato disapplichi la procedura di indennizzo diretto e quindi proceda giudizialmente nei confronti della compagnia del responsabile, questa potrà ben delegare a rappresentarla (a mente della sentenza Cass. Civ. 20.408/16) l’ assicuratore del danneggiato stesso, ma tale compagnia non potrà sollevare che le eccezioni derivanti dal rapporto fra attore e mandante, con la conseguenza che non rileva la carenza dei requisiti di procedibilità nei confronti della mandataria. Scarica la sentenza: Pederzoli

Riconoscimento Onorari Stragiudiziali Con Nota Pro Forma

Riceviamo dai colleghi Avv. Giancarlo Armenia ed  Avv. Giorgio Bacchelli del Foro di Bologna

Giudice di Pace di Bologna, sentenza del 7 luglio 2017, n. 2.616 est. avv. Poli Camagni. “In caso di sinistro automobilistico, nel giudizio instaurato per il risarcimento del danno le spese precedentemente sostenute dal danneggiato per l’ attività stragiudiziale prestata dal una società di infortunistica stradale hanno natura di danno emergente e la loro utilità, in funzione della possibilità di porle a carico del danneggiante, deve essere valutata ex ante, avuto riguardo a quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l’ esito del futuro giudizio, e sulla base delle prove dedotte dal danneggiato, cui compete l’ onere di dimostrare di aver effettivamente sostenuto il relativo esborso.” (Cass. Civ. Ordinanza 13 marzo 2017, n. 6.422). Ove l’ esborso sia carente di prova documentale (fattura) il Giudice, apprezzato ogni altro elemento fornito al fine di dimostrare l’ effettività dell’ opera prestata in sede stragiudiziale, procede con una quantificazione equitativa. Scarica la sentenza: Poli Camagni

Decreto Concorrenza: più Chiarezza sulla Risarcibilità delle Lesioni “lievi”.

L’ entrata in vigore, il 29 agosto scorso, della L. 4 agosto 2017, n. 124 (cosiddetto Decreto Concorrenza) ha apportato notevoli innovazioni nella materia disciplinata dal Codice delle Assicurazioni. Una delle più rilevanti è quella introdotta dal comma 19 dell’ unico articolo, che ha riscritto il testo dell’ art. 139. Il legislatore è intervenuto sul tribolato tema della risarcibilità delle invalidità permanenti non strumentalmente accertate, che abbiamo già avuto modo di trattare più volte, sanando alcune carenze interpretative del precedente intervento del 2012.

Intendiamo in questa sede proporre una interpretazione del nuovo testo, comparando la formulazione precedente, articolata su due commi (3 ter e 3 quater dell’ art. 32 L. 27/12) a quella attuale, unificata nella riscrittura dell’ art. 139, comma secondo C.d.A.

Normativa abrogata

3 ter Al comma 2 dell’articolo 139 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo: “In ogni caso, le lesioni di lieve entità’, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente“;

3 quaterIl danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e’ risarcito solo a seguito di riscontro Medico Legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”.

Novella

art. 139 (omissis) In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazioni, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente. 

La definizione di “visivo”

Il primo dato che salta all’ occhio è l’ aggiunta della possibilità di pervenire ad un accertamento anche (solamente ?) “visivo” del danno in alternativa a quello “clinico strumentale obiettivo” di cui alla formulazione previgente. Assume quindi importanza cruciale circoscrivere il contenuto della espressione “visivo” che è chiaramente ripresa dalla precedente formulazione del comma 3 quater. Soccorre, in questo, la giurisprudenza consolidata in questi anni.

Secondo la Corte Costituzionale (ordinanza 242/15) con “visivo” si intende “accertato sulla base di dati conseguenti al rilievo medico-legale rispondente ad una corretta metodologia sanitaria”.

Secondo il Tribunale di Bologna (nell’ orientamento adesivo alle pronunce dell’ Alta Corte, di cui a sentenze 15 novembre 2016 n. 27657 febbraio 2017 n. 283) il danno è “visivamente accertato sulla base di dati conseguenti al rilevo medico legale rispondente ad una corretta metodologia sanitaria”.

Secondo la Legge Novellata l’ accertamento visivo ha ad oggetto le “lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazioni”.

In conclusione: visivo significa “clinicamente evidente” “accertato sulla base dei rilievi medico legali” “senza l’ ausilio di strumentazioni”: e questo sulla base degli stessi orientamenti interpretativi “restrittivi” sulla legge previgente, che ora quindi vengono a convergere con le interpretazioni “unitarie” non indegnamente rappresentate da numerose pronunce di merito (v. Tribunale di Padova e Tribunale di Rimini) ma specialmente dalla nota sentenza della Suprema Corte (v. sentenza 26 settembre 2016, n. 18773):

“esplicando entrambe le norme [3 ter e 3 quater] (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una “obiettività” dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti).”

“Come le cicatrici”

Si potrebbe obiettare, è vero, che il riferimento alle cicatrici (…“lesioni, quali le cicatrici”…) sia inteso a circoscrivere l’ accertamento clinico valido a ciò che è rilevabile con il solo senso della vista. Ovvero delle quattro manovre di cui consta l’ accertamento clinico (ispezione, palpazione, percussione e auscultazione) sarebbe passabile di risarcimento solo il danno permanente riscontrato con la prima, essendo quindi preclusi i danni rilevati ad esempio con la palpazione (come le contratture e, in parte, le limitazioni funzionali, obbiettività tipiche delle menomazioni cervico dorsali). Tuttavia, a parte la completa illogicità e irrazionalità di una tale interpretazione (cosa avrebbe la vista, in più, rispetto agli altri sensi?), bisogna dire che la lettera della norma soccorre, perché vi si enuncia espressamente che quello della cicatrice è solo un esempio, una specie di un genere più ampio, comprendente tutti i danni “oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazioni”.

Dobbiamo concluderne che la riforma sana il dissidio interpretativo originato dalle contraddizioni fra i due famosi commi, a favore della lettura da noi sempre sostenuta: la ratio legis della norma non consiste nel creare la categoria del danno (accertato ma) irrisarcibile, bensì nell’ escludere il risarcimento di ciò che danno non è, ovvero i pregiudizi soggettivi meramente riferiti, senza alcuna conferma obiettiva. Non vi è conclusivamente alcuna preclusione per risarcimento dei danni permanenti “clinicamente e visivamente ma non strumentalmente accertati”.

Verifica: insostenibilità della lettura “differenziata”

Prova indiretta a sostegno dell’ interpretazione proposta si può trarre anche dalla sopravvenuta insostenibilità della interpretazione “differenziata” della norma  su cui si basavano le pronunce della Corte Costituzionale nel nuovo contesto normativo. Secondo tale lettura (lo ricordiamo) il comma 3 ter, riferendosi al “danno biologico permanente” avrebbe precluso la liquidazione di tale danno senza l’ accertamento clinico strumentale obiettivo. Al contrario il comma successivo (3 quater), di manica per così dire “più larga”, relativo però alla sola invalidità temporanea, avrebbe in ogni caso permesso la liquidazione del danno anche solamente “visivo”.

Si presupponeva, insomma, l’ esistenza di due metodi accertativi diversi: uno per l’ invalidità permanente (“accertamento clinico strumentale obiettivo”) ed uno per la temporanea (“visivo o strumentale”). Tale divergenza non vi è più. E quindi volendo continuare a legare l’ accertamento “clinico strumentale obiettivo ovvero visivo” alla invalidità permanente, non si capisce su che base si dovrebbe accertare quella temporanea… forse su mere allegazioni riferite? Ma non si contravverrebbe così (in questo modo per davvero !) alle esigenze di cogente verifica della reale sussistenza del danno?

Dobbiamo concluderne che la riforma sana il dissidio interpretativo originato dalle contraddizioni fra i due famosi commi, a favore della lettura da noi sempre sostenuta: la ratio legis della norma non consiste nel creare la categoria del danno (accertato ma) irrisarcibile, bensì nell’ escludere il risarcimento di ciò che danno non è, ovvero i pregiudizi soggettivi meramente riferiti, senza alcuna conferma obiettiva. Non vi è quindi alcuna preclusione per risarcimento dei danni permanenti “clinicamente ma non strumentalmente accertati”.

Accertamento della “lesione” e della “menomazione”

Se si giunge a questa conclusione, a nostro avviso necessaria, passa in secondo piano il problema della natura dell’ accertamento strumentale, ovvero se esso debba avere ad oggetto la lesione o la menomazione. L’ inserimento nel comma 3 del novellato art. 139 del riferimento alla “menomazione” (parametro della liquidazione della personalizzazione) potrebbe far pensare che il legislatore abbia deciso di usare tale espressione con proprio significato medico legale. Questo ci condurrebbe a ritenere che l’ espressione “lesioni di lieve entità”… (che, nella lettura restrittiva del comma 2 dello stesso articolo, non avrebbero dato luogo a risarcimento del danno biologico permanente) siano da intendersi appunto come lesioni (secondo il senso tecnico medico legale dell’ espressione) e non come menomazioni.

Con la conseguenza che l’ eventuale accertamento strumentale (anche ove fosse considerato necessario) dovrebbe avere ad oggetto la lesione, e non la menomazione. Avendo io sostenuto tale tesi già in vigenza della (meno univoca) formulazione pregressa, non mi sognerò certo di confutarla ora. Tuttavia ribadisco che la novella consente una interpretazione più razionale della norma, tale da rendere del tutto inutile la produzione strumentale (ovviamente nei casi in cui non sia effettivamente necessaria ai fini della dimostrazione del danno).

Personalizzazione: sulla invalidità permanente o sull’ intero danno?

Sempre con riferimento all’ espressione “menomazione” di cui al comma 3, ovvero nel passo ove si accenna alla personalizzazione (ex morale) va infine osservato che essa non preclude affatto la maggiorazione (limitata dalla novella ad un quinto) sul danno temporaneo, al contrario. Gli esiti menomativi del trauma si producono quasi immediatamente, ed anzi proprio nei primi giorni sono di maggiore entità (ed è proprio all’ entità degli esiti menomativi che si fece riferimento qualche anno orsono, quando il dibattito medico legale pervenne alla sostanziale abolizione della “temporanea assoluta” nella valutazione delle lesioni di lieve entità). In seguito (al termine del recupero della lesione) le conseguenze menomative permangono, se pure attenuate. Quindi il riferimento alla “menomazione” lungi dall’ escludere la risarcibilità del danno morale sul danno biologico temporaneo, la rende (ove dimostrata, anche presuntivamente) quasi obbligatoria.

Sebbene, in conclusione, l’ intervento del legislatore presenti altrove criticità, che sarà opportuno esaminare in diversa sede, almeno su questo punto pare aver apportato elementi di chiarezza, mitigando l’ eccessivo rigore probatorio che alcuni interpreti avevano riscontrato nella precedente formulazione.

 Avv. Marco Bordoni del Foro di Bologna

Sezione Unite: da valutarsi ex ante l’ Utilità delle Spese di Assistenza Stragiudiziale

Cass. Civ. Sez. Unite 10 luglio 2017, n. 16.990 “Ritengono queste Sezioni Unite di dover ribadire, in continuità con giurisprudenza delle sezioni semplici (Cass. n. 997 del 2010) anche recentissima (Cass. n. 6422 del 2017) che il rimborso delle spese di assistenza stragiudiziale ha natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per l’ attività svolta da un legale in detta fase precontenziosa. L’ utilità di tale esborso, ai fini della possibilità di porlo a carico del danneggiante, deve essere valutata ex ante, cioè in vista di quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l’ esito del futuro giudizio. Da ciò consegue il rilievo che l’ attività stragiudiziale, anche se svolta da un avvocato, è comunque qualcosa di intrinsecamente diverso rispetto alle spese processuali vere e proprie. Ne deriva che, se la liquidazione deve avvenire necessariamente secondo le tariffe forensi, essa resta soggetta ai normali oneri della domanda, allegazione e prova secondo l’ ordinaria scansione processuale, al pari della altre voci di danno emergente. Il che comporta che la corrispondente spese sostenuta non è configurabile come danno emergente e non può, pertanto, essere riversata sul danneggiante quando sia, ad esempio, superflua ai fini di una più pronta definizione del contenzioso, non avendo avuto in concreto utilità per evitare il giudizio o per assicurare una tutela più rapida risolvendo problemi tecnici di qualche complessità (Cass. n. 9548 del 2005). Ne deriva che non è corretta l’ affermazione di taluna giurisprudenza (Cass. n. 14594 del 2005) secondo cui le spese legali dovute dal danneggiato / cliente al proprio avvocato in relazione ad attività stragiudiziale seguita da attività giudiziale possono formare oggetto di liquidazione con nota di cui all’ art. 75 disp. att. c.p.c., dovendo invece formare oggetto della domanda di risarcimento del danno emergente nei confronti dell’ altra parte con le preclusioni processuali ordinarie nei confronti di nuove domande.” Scarica la sentenza: Cass. civ., Sez. Un., sent., 10 luglio 2017, n. 16990

Dalla Cassazione Via libera al Danno Punitivo: ora vanno stabiliti i Criteri di Quantificazione

Con sentenza del 5 luglio 2017 (n. 16.601/17) la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha segnato una svolta in qualche modo storica nella giurisprudenza italiana in fatto di responsabilità civile. Si è passati, nella sostanza, da una visione mono funzionale (unico scopo del presidio quello compensativo riparatorio) ad una polifunzionale (ovvero capace di ammettere, a fianco a quello tradizionale, numerosi altri scopi accessori, fra cui, importanti, quello deterrente – dissuasivo e quello sanzionatorio – punitivo). La nuova concezione obbedisce ad esigenze da un lato di deflazione del contenzioso, dall’ altro di effettività della tutela (esigenza, secondo la dottrina invocata, in qualche modo soffocata dalla precedente impostazione). Il principio solennemente affermato dalla Suprema Corte (al netto del pur interessante contesto offerto dal caso di specie, che è quello della delibazione nel nostro ordinamento delle sentenze straniere) è il seguente: “nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria della responsabilità civile.” (Cass Sez Unite 16601-2017 del 5_7_17 – danni punitivi-1).

Nel novero della casistica esaminata dalle Sezioni Unite (che sottolineano ripetutamente la necessaria sussistenza di un preciso supporto normativo alla irrogazione del danno punitivo…) attira l’ attenzione degli operatori il richiamo all’ art. 93 terzo comma c.p.c., una norma a cui, sin dalla sua introduzione (con la L. 18 giugno 2009, n. 69) non sono certo state risparmiate critiche. In particolare i primi interpreti hanno segnalato tre criticità interpretative:

  • indeterminatezza dei presupposti: non essendo espressamente richiamati i requisiti di cui al comma 1 dello stesso articolo (“dolo o colpa grave”);
  • mancata indicazione della specifica funzione; in particolare ci si è chiesto se si dovesse ricollegare l’ applicazione della norma alla verifica di un effettivo pregiudizio patito dalla parte vincitrice;
  • indeterminatezza dei criteri di liquidazione;

Possiamo oggi dire che i primi due nodi sono stati sciolti. In particolare la Suprema Corte (con sentenza Cass. Civ. 7726/16 scaricabile qui) ha risolto la prima questione stabilendo che il requisito del dolo e della colpa grave è necessario e deve investire la difesa nel suo complesso (non, quindi, una singola azione od eccezione), mentre la sentenza in commento, sul solco di giurisprudenza di merito ormai consolidata e dell’ autorevole sindacato di legittimità della Corte Costituzionale (contenuto nella sentenza 152/16 scaricabile qui) ha riconosciuto la ricevibilità nell’ ordinamento dei cosiddetti “danni punitivi” sanando con il proprio intervento anche il secondo “punto dolente”.

Resta la questione, non di poco conto, della quantificazione, di volta in volta stabilita dal Giudice, nella casistica quotidiana, in una misura pari ad una frazione del danno, alla sua integralità o con metodo equitativo puro (come nella nota sentenza del Tribunale di Varese che, rigettando la domanda, quantificò la “somma” ex art. 93, terzo comma, c.p.c. in misura pari ad oltre due volte la condanna alle spese di soccombenza processuale: scarica qui la sentenza).

Per quanto ci riguarda (e veniamo ad esaminare la norma sotto il punto di vista della difesa del danneggiato – attore) riteniamo che il descritto strumento possa essere utile al fine di vincere talune, ben note, resistenze strumentali e meramente defatigatorie poste in atto dalle controparti resistenti. A tutt’ oggi, tuttavia, risolta la più parte delle perplessità interpretative,  permane un’ ombra ravvisabile nel terzo dei “nodi” sopra illustrati: la totale indeterminatezza sugli importi delle “somme” al cui pagamento la parte soccombente può essere condannata.

Da un lato si deve rilevare che la possibilità di una condanna irrogabile “a prescindere” dall’ esistenza di un danno stride con la concomitante tendenza giurisprudenziale a restringere il perimetro del danno risarcibile. D’ altro lato non si può non segnalare il pericolo che simili strumenti  possano portare a condanne arbitrarie, del tutto avulse da esigenze di giustizia sostanziale (specialmente in una temperie culturale, quale quella in cui ci troviamo, in cui si tende a confondere troppo facilmente l’ abuso dell’ azione, da censurare, con il semplice uso, che invece è un diritto di rango costituzionale…). Sarebbe quindi utile uno sforzo degli interpreti mirante (per lo meno…) ad identificare parametri oggettivi di quantificazione, ancorati al valore della vertenza o, ancora meglio, alla entità delle spese di soccombenza quantificate dal Giudice.

Condotta in argini di certezza e prevedibilità la novità normativa potrà quindi rappresentare per gli operatori un buon viatico per la risoluzione dei casi più deprecabili di resistenze strumentali ed inflazioni processuali.

Avv. Marco Bordoni del Foro di Bologna

 

 

Tribunale di Bologna: risarcibili Danno Morale ed Assistenza Stragiudiziale

Tribunale di Bologna, sentenza 4 aprile 2017 n. 6.444, est. dott. Alessandra Arceri. Questa importante sentenza riafferma tre principi consolidati. In primo luogo la risarcibilità del danno morale: “la sofferenza” afferma il Giudice “può costituire base per la liquidazione del danno morale, in quanto effettivamente, secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con sentenza 235 del 6 ottobre 2014, la sofferenza soggettiva che la vittima di lesioni risente in modo istantaneo (…) è suscettibile di ristoro anche in presenza di danni fisici in ingenti, entro una forbice che il giudice delle leggi ha stabilito equo attribuire in via equitativa, o in alternativa, secondo i parametri di cui all’ art. 139, terzo comma, C.d.A.”: nella fattispecie il Giudice liquida il 50% di danno morale in considerazione dell’ “intensa sofferenza patita dalla vittima”. In secondo luogo vanno risarcite le spese sostenute dal danneggiato per l’ assistenza legale stragiudiziale (sulla scorta delle pronunce Cass. Civ. 997/10 e 11.154/15). Infine la compensazione in punto alle spese di causa non è giustificata dall’ accertamento della debenza solo di una parte del petitum, non valendo questa circostanza a vanificare la vittoria sostanziale della parte attrice richiedente. Scarica la sentenza: Arceri